Questo comunicato è stato pubblicato originariamente su dinamopress.it
Internet è stata un tempo una terra selvaggia dove convivevano ricercatori e ricercatrici universitarə, appassionatə di informatica, hacker e fricchettonə. Nessuno ci faceva soldi, tutte e tutti scambiavano informazioni, materiale accademico, libri, fanzine, codice di software. Collegarsi costava assai, ma ne valeva la pena. Fra le pionierə di questa Internet c’erano anche tante e tanti di coloro che animavano collettivi e centri sociali: gli anni ’90 videro nascere i primi bollettini e siti web italofoni di movimento. Sono in buona parte le stesse persone che nei primi 2000 daranno vita al nodo italiano di Indymedia (che proprio in questi giorni è tornato online con il suo archivio dal 2001 al 2006 e diverse iniziative per il ventennale del g8 di Genova, vedi: https://itm.vado.li), a un’esperienza ancora oggi fondamentale come Autistici/Inventati e a molti altri progetti volti all’uso critico e sociale delle tecnologie informatiche.
Già alla fine di quel decennio però Internet era diventata un’altra cosa. Le grandi multinazionali che oggi tuttə conosciamo stavano già innalzando steccati, creando recinti chiusi dove confinare le interazioni degli internauti, di modo da poterle analizzare nel dettaglio e fare pubblicità mirata. Un processo che ha trovato compimento quando il telefono ha sostituito il computer come principale dispositivo di accesso alla rete e ci siamo abituati a fruire servizi attraverso app dedicate e sempre meno tramite i classici programmi di navigazione (browser).
Inutile illudersi: internet non tornerà mai più com’era 20-25 anni fa. Le modalità di pubblicazione e interazione a cui ci hanno abituato i social network sono qui per restare. Ciò non vuol dire, però, che ci si debba arrendere a pascolare tra gli steccati delle corporation. Riprendere il controllo dei mezzi di comunicazione è possibile, anzi: sta succedendo.
Nel corso degli anni ’10, infatti, un po’ a tentoni e sicuramente sottotraccia, sono nati social network che aderiscono al paradigma del software libero, ossia sono installabili e modificabili da chiunque abbia le competenze necessarie per far funzionare un piccolo server. Soprattutto, queste piattaforme hanno adottato standard comuni, di modo che lə utenti possano dialogare tra loro indipendentemente da quali siano il servizio e il server a cui sono iscrittə.
La piattaforma che ha avuto più successo si chiama Mastodon, l’ha creata cinque anni fa un allora ventiquattrenne tedesco di nome Eugen Rochko: è simile a Twitter (è quindi un microblogging) e oggi ha oltre 4,5 milioni di utenti. Ben presto, soprattutto in Europa, hanno aperto i primi nodi mastodon (istanze) esplicitamente libertari, antifascisti, autogestiti. Le prime istanze in lingua italiana sono nate a partire dal 2018 in seno alla comunità di hackmeeting, l’incontro delle controculture digitali che si riunisce annualmente dal 1998 (prossimo appuntamento ai primi di settembre nel bolognese, vedi: https://hackmeeting.org).
Dopo le esperienze nate dagli hacklab di Bologna, Torino e Milano e alcuni altri nodi non territoriali, da inizio giugno è finalmente online l’istanza romana. Si chiama puntarella.party, seguendo una buffa tradizione hacktivista per la quale ai progetti si assegnano nomi vegetali.
Ecco come si presenta: «Un social network indipendente, libero da meccanismi di profilazione e logiche di profitto, rispettoso della privacy, antifascista, antirazzista e antisessista, basato a Roma. Più precisamente è un nodo (istanza) di una rete di centinaia di altri server indipendenti in tutto il mondo (che prende il nome di Fediverso) e che adotta un software di microblogging: Mastodon. Può ricordare Twitter, ma i messaggi possono essere lunghi fino a 840 caratteri». Puntarella.party «si rivolge a tutte e tutti coloro che ambiscono alla trasformazione dell’esistente in direzione di una piena giustizia sociale. Ai centri sociali, ai collettivi, alle esperienze di attivismo e associazionismo, per offrire uno strumento di informazione, confronto, discussione alternativo alle grandi piattaforme commerciali come Facebook e Twitter. L’iscrizione è libera e gratuita, servono solo un indirizzo email e l’invio di qualche breve riga di presentazione».
Il collettivo di gestione del “a/social indipendente di Roma” assicura che «il progetto non vuole restare confinato nel virtuale: saranno presto convocate iniziative di presentazione e anche assemblee pubbliche di istanza, in cui lə utenti possano conoscersi, confrontarsi, discutere insieme le regole di convivenza sulla piattaforma e le prospettive future». Intanto, però, vale la pena di collegarsi a https://puntarella.party, aprire un account e iniziare a guardarsi in giro. Per chi si sentisse spaesatə, c’è una pratica guida scritta dalla community all’indirizzo https://mastodon.help. E sì, ci sono le app per smartphone: https://joinmastodon.org/apps.